Home Cultura Iniziò tutto con una brioche e una tazza di latte: quella volta che i brindisini aprirono il loro immenso cuore agli ebrei
Iniziò tutto con una brioche e una tazza di latte: quella volta che i brindisini aprirono il loro immenso cuore agli ebrei
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Iniziò tutto con una brioche e una tazza di latte: quella volta che i brindisini aprirono il loro immenso cuore agli ebrei

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BRINDISI – La visita guidata alla scoperta della Brindisi ebraica organizzata dall’info-point di Brindisi è stata l’occasione utile per riscoprire una vicenda della quale poco se ne parla ma che, come valenza, merita massima considerazione.

L’accoglienza riservata dalla popolazione brindisina agli albanesi, infatti, ha probabilmente oscurato un altro episodio che ha visto i brindisini protagonisti di uno slancio di generosità, e di ciò se ne può raccogliere testimonianza fisica al porticciolo, dove il Sindaco Mennitti fece affiggere una targa in memoria dell’accaduto. Ma cosa accadde? A raccontarlo è stata ieri sera Katiuscia Di Rocco, direttrice della biblioteca arcivescovile e presidente della Fondazione del Nuovo Teatro Verdi.

All’alba del 29 novembre del 1956 giunse nel porto di Brindisi una nave battente bandiera greca che trasportava ebrei – perlopiù italiani – in fuga dall’Egitto, dove erano state promulgate le leggi razziali. La testimonianza di quanto accaduto ce la fornisce una profuga del tempo, che all’epoca era solo una bambina. Il suo nome è Carolina.

Dopo due giorni di navigazione senza toccare cibo e con mare in tempesta nel canale d’Otranto, Carolina aveva fame. Così strattonò la manica del giaccone del padre lamentandosene di questo: ingenua com’era, all’epoca non capiva fino in fondo che i genitori erano stati cacciati dall’Egitto e costretti a fuggire lasciando tutto lì, portando con sé solo qualche spicciolo.

Davanti all’ennesima richiesta di Carolina, suo padre la condusse in un bar di Brindisi per comprarle una brioche e una tazza di latte. Il proprietario del bar chiese loro se fossero scesi da quella nave. Il padre di Carolina non capiva l’italiano. Così il barista lo ripeté lentamente, facendo ampi gesti. Solo allora il profugo capì e annuì.

Quello che accadde dopo fu un distillato di umanità, come la gente di Brindisi è solita profondere. Il barista rifiutò i soldi e offrì del cibo anche al padre di Carolina, che scoppiò in lacrime.

La voce di quel gesto si diffuse, così anche gli altri profughi furono invitati a rifocillarsi gratuitamente. Anche i facchini del porto di Brindisi rifiutarono il loro compenso e caricarono gratuitamente le valigie sui camion.

I profughi furono trasferiti in un campo di accoglienza a Bocca di Puglia, in un’area limitrofa all’attuale porticciolo. Il campo prevedeva servizi e camere separate per donne e bambini da una parte, e uomini dall’altra.

Quella accoglienza straordinaria rimase scolpita per sempre nella mente di Carolina, che dopo 50 anni, nel 2005, tornò a Brindisi per visitare quella città e quel campo, conservati nella sua memoria come straordinari.

Quella visita suggerì a Mennitti di organizzare un evento pubblico in occasione dell’affissione della suddetta targa. D’altronde, Mennitti aveva in animo di realizzare, con la compartecipazione dell’Arcidiocesi, un monumento in località Sciaia che potesse ricordare la venuta del Papa, il quale riconobbe a Brindisi il ruolo di porto di pace.

Ecco, sarebbe il caso di riprendere quell’idea, perché ciò che ha fatto la gente di Brindisi per l’umanità, e che continua a fare attraverso la base Onu, ha pochi eguali.

Andrea Pezzuto