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SERIE TV – Il capolavoro del disastro: “Chernobyl”
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SERIE TV – Il capolavoro del disastro: “Chernobyl”

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BRINDISI – Un lampo, neanche troppo terrificante. “Niente di preoccupante”, aveva detto chi l’aveva visto, “sarà un incendio”. Invece, quel 26 aprile 1986, a bruciare era la centrale nucleare di Chernobyl, oggi Ucraina, allora Unione Sovietica.

Ne parla la nuova serie tv in onda su Sky Atlantic e prodotta dalla HBO, “Chernobyl”. Un nome solo, niente orpelli o sottotitoli. Perché un disastro così è entrato nella memoria di tutti, anche di chi ancora non c’era.
La grande qualità di questa serie tv sta nel raccontare i fatti dosando la tensione minuto dopo minuto; in fondo lo spettatore sa già cosa è successo, cosa ancora succederà. Eppure, l’angoscia è uno stillicidio. L’ansia viene dosata goccia dopo goccia. Così si parte con la routine, la normalità: di un ospedale (quello dove poi verranno trasportati i feriti); di un gruppo di vigili del fuoco (che per primi arriveranno sul luogo del disastro e lavoreranno senza alcuna protezione); degli abitanti di Pryp”jat (che passeranno la notte a guardare il “poetico” incendio ignorando i fumi e le scorie radiottive con cui stanno venendo a contatto); degli operai e dei tecnici della centrale (che verranno mandati a sciogliersi letteralmente dopo l’ordine assurdo di monitorare il nocciolo del reattore).
È proprio questo che crea tensione, lo spettatore sa quello che i personaggi non sanno ancora e non capisce, quasi non sopporta le loro azioni. La tragedia si sta consumando, quella centrale è esplosa, il reattore non c’è più, le radiazioni sono a livelli tali da far impazzire i dosimetri e il vento le spinge verso l’Europa. Il Governo non dice, evacua le zone quando è già tardi e quando si decide a dire i media si limitano a dei semplici comunicati che finiscono con “la situazione è sotto controllo” anche quando non lo è.
Quello che potrebbe essere un racconto-documentario è arricchito dalle storie dei personaggi: il vigile del fuoco Vasily, lo scienziato Valerij Legasov (interpretato da un gigantesco Jared Harris), la fisica Ulana Khomyuk (Emily Watson), il vicepresidente Boris Shcherbina (Stellan Skarsgård che duetta superbamente con Harris), interprezioni eccezionali al servizio di una sceneggiatura capolavoro.
La fotografia è perfetta, cupa, angosciante come la coltre di fumi radiottivi che minaccia i cieli di tutta Europa.
“Chernobyl” è una serie magnifica, la conferma della costante crescita della serialità televisiva, che ormai dimostra di non aver più alcun complesso di inferiorità rispetto al cinema.
Francesca Taurisano