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L’energia al centro delle politiche sostenibili
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L’energia al centro delle politiche sostenibili

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Dal 1850 ad oggi, la temperatura media del pianeta è cresciuta di circa 1 °C e, secondo la comunità scientifica, la causa è da attribuire alle emissioni antropiche di gas serra in atmosfera, il principale dei quali è rappresentato dall’anidride carbonica. Il riscaldamento globale è causa della fusione dei ghiacciai e del conseguente innalzamento del livello medio del mare, nonché della desertificazione di aree sempre più vaste del pianeta e dell’aumento della frequenza di fenomeni estremi quali uragani e inondazioni, provocando danni incalcolabili e, potenzialmente, irreversibili. Per far fronte a ciò nel 2015 stato firmato da 195 Paesi un accordo internazionale (COP21 o Accordi di Parigi) che fissa l’obiettivo di mantenere l’incremento del riscaldamento globale entro 2 °C rispetto ai livelli preindustriali – possibilmente limitarlo a 1,5 °C – attraverso quella che viene chiamata “transizione energetica”, cioè il passaggio verso un sistema energetico a basse o a zero emissioni di carbonio, basato sulle fonti rinnovabili.

Quello della transizione energetica è un tema estremamente complesso, in quanto è necessario integrare sempre di più gli aspetti tecnologici con gli effetti ambientali e le implicazioni socioeconomiche legate alla prosperità delle persone e del Pianeta. È necessario cambiare il paradigma di sviluppo e adottare nuove soluzioni affinché i Paesi possano prosperare nella nuova economia energetica in linea con l’Agenda 2030 e con quelli che sono gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, in particolare quelli di preservare l’ambiente, di garantire l’accesso all’energia a tutti e, al tempo stesso, di risultare socialmente equa e sostenibile senza generare nuove povertà e disuguaglianze.

Le scelte energetiche, come indicato dalla prof.ssa Colombo, sono guidate da due istanze tra loro contrastanti: da una parte c’è lo sviluppo sostenibile riguardo al tema energia-ambiente; dall’altra lo sviluppo sostenibile delle società. Una repentina diminuzione della disponibilità energetica può, infatti, rappresentare una minaccia per lo sviluppo industriale e per lo sviluppo sociale. A queste complessità e multidisciplinarietà l’effetto Covid ha aggiunto una terza istanza: l’imprevedibilità. Un’istanza legata ad una ripresa che possa avvenire senza vanificare il percorso di transizione che è già stato avviato. Inoltre, è necessario che i governi, sia nelle loro politiche nazionali, sia nell’ambito della cooperazione internazionale, adottino le necessarie misure affinché la transizione energetica non acuisca il divario tra le regioni più ricche e quelle che rimangono più indietro. In quest’ultimo anno ci siamo accorti quanto l’energia sia fondamentale, senza la quale non avremmo potuto né lavorare né supportare gli ospedali, né avere quel minimo di attività sociale che ci ha consentito in pieno lock-down di vederci in faccia, confrontarci e continuare le nostre attività.

L’energia è fondamentale per il raggiungimento di quasi tutti gli obiettivi di sviluppo sostenibile in quanto gioca un ruolo cruciale nella lotta alla povertà attraverso i progressi nella salute, nell’istruzione, nell’approvvigionamento idrico e nell’industrializzazione. Possiamo azzardare un parallelismo con quanto sosteneva il premio Nobel Amartya Sen “Lo sviluppo è libertà”, affermando che l’accesso all’energia è libertà, senza l’energia diventa più difficile garantire i diritti fondamentali. Infatti, nel corso della storia, l’accesso alle risorse energetiche è stato uno dei principali motivi di conflitto tra gli Stati. Pertanto, una trasformazione energetica guidata dalle rinnovabili può cambiare le politiche nazionali e globali.

Come affermato da Pistelli, la transizione non è un pasto gratis, in quanto è necessario dare accesso pulito e sostenibile all’energia a 9 miliardi di persone nei prossimi 30 anni, senza cuocere il pianeta. Nonostante le politiche UE siano le più virtuose, la partita geopolitica per la transizione energetica è tutta in Asia, dove India e Cina non hanno alcuna intenzione di demordere rispetto a un sentiero di sviluppo che li porti sui livelli dell’occidente. Parafrasando in modo diverso Draghi, vogliono farlo “whatever it takes” e non sarà l’occidente a impedirglielo. C’è poi un continente che è rimasto marginale e rischia di rimanere marginale nella partita: l’Africa, dove il tema è l’accesso all’energia. Mentre la Cina riduce di pochi punti la propria dipendenza dal carbone, sta costruendo 23 centrali a carbone in Africa, spostando il problema altrove perché ha bisogno di investire, di spostare lavoratori.

Con la transizione energetica, da un lato la geopolitica degli idrocarburi con le sue tradizionali caratteristiche dei paesi esportatori, importatori, chock points, è destinata a dissolversi comportando il rischio di far insorgere problemi di stabilità interna ai paesi tradizionalmente esportatori se non differenzieranno le loro economie. Dall’altro lato si pone il problema dell’estrazione e della lavorazione dei minerali critici per le rinnovabili e per i sistemi ICT, come le terre rare, il litio, il cobalto. Due terzi delle riserve e della produzione globale di cobalto, ad esempio, proviene dalla Repubblica Democratica del Congo, un paese che negli ultimi 20 anni è stato martoriato da guerre di ogni sorta che hanno causato più di 5 milioni di morti, e nelle cui miniere viene sfruttato il lavoro dei bambini. La Cina, tramite un consorzio di società statali, ha firmato un accordo per i diritti di estrazione di rame e cobalto fino al 2033, per un valore stimato in 84 miliardi di dollari. Il tema dei minerali critici creerà, pertanto, una nuova geopolitica dell’energia, ma non necessariamente una geopolitica pacifica.

Parallelamente ai problemi legati ai mutamenti della geopolitica, la transizione energetica pone la questione degli investimenti da sostenere. Si è spesso portati a pensare che il tema della transizione energetica sia solamente legato alla produzione della energia elettrica. La decarbonizzazione dei settori industriali altamente energivori (la raffinazione di petrolio, la chimica, la produzione di acciaio e di cemento ecc.), oppure del trasporto pesante o a lungo raggio, i cosiddetti “hard to abate” per i quali l’elettrificazione non rappresenta un’opzione attualmente percorribile o risolutiva, necessita di ingenti investimenti economici e di importanti trasformazioni tecnologiche e infrastrutturali. A tutto ciò si contrappone, sempre più spesso, l’immobilismo italiano caratterizzato dalla concomitante presenza della sindrome Nimby (Not in my back yard), il rifiuto da parte delle comunità locali verso nuove infrastrutture o impianti in un determinato territorio, e la sindrome Nimto (Not in my terms of office), ovvero l’atteggiamento di comodo della classe politica per non correre rischi.

Quello della transizione energetica è un tema estremamente complesso, la cui piena e completa attuazione necessita di scelte e cambiamenti radicali e profondi. Per tale motivo va affrontato e analizzato nel suo complesso in maniera pragmatica e non retorica né ideologica, in quanto è in gioco il futuro del pianeta.

Francesco Caroli