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Italia e Francia: amicizia con barriere
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Italia e Francia: amicizia con barriere

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Brutta, è brutta. La crisi tra Italia e Francia per i migranti è davvero brutta. Ma ad essere brutta è la situazione italiana nel suo complesso. Perfino il Corrierone che aveva sognato per un paio di settimane una destra conservatrice ed euro-atlantica, finalmente affrancata da ombre neofasciste, deve ora ricredersi, e temere per “l’isolamento dell’Italia”. Sembrava proprio che Meloni fosse in perfetta continuità con Draghi, sui due punti fondamentali per la posizione italiana nel mondo: la politica estera e l’economia. Perfetta nell’andare subito a incontrare i vertici europei, poi incontrare Macron, e spargere ovunque serenità e continuità. Perfetta nella cautela sulla legge finanziaria, mandando il saggio Giorgetti in Europa a rassicurare i mercati. Poi però c’era il decreto anti-rave, il silenzio sui cento anni della marcia su Roma, e altre affermazioni identitarie. Piccole cose, innocui errori di gioventù, i mercati e l’establishment continuavano ad apprezzare la moderazione della premier.

Ma il destino si è messo di traverso. Il destino? Chi potrebbe essere così privo del minimo senso della politica (e della geopolitica) da non sapere che nella UE ci è rimasto un unico alleato, la Francia, che in questa fase storica condivide gran parte dei nostri obiettivi a livello comunitario? Tutti gli altri, Germania in testa, ci sono contrari, per via dei famosi “interessi nazionali” che vanno da tutt’altra parte e che non sono mai stati più forti. Per dirne una, la Francia è l’unico grande Paese che ha interesse come noi a riformare il Patto di stabilità nel senso di una maggiore flessibilità. E cosa va a fare il governo italiano? Una crisi con la Francia? Non è possibile. Nessun capo di governo sano di mente farebbe un harakiri così, a tre settimane dall’insediamento. O no?

Con i problemi che ha Macron in patria, dove non ha una maggioranza in parlamento e deve lottare con destra e sinistra, in un equilibrio quanto mai precario, gli andiamo a tendere questa trappola del presunto accordo per lo sbarco della Ocean Viking a Marsiglia con i suoi 234 migranti? Non è possibile che Meloni non sappia che Le Pen e Zemmour (l’estrema destra) picchiano ogni giorno sui media e sui social contro i migranti e le (poche) aperture di Macron. E che la sinistra lo attacca per il motivo opposto, cioè perché respinge i migranti su tutte le frontiere, da Ventimiglia in su.

Se Meloni lo sapeva, avrebbe dovuto gestire la cosa, come si dice tra diplomatici, in modo “felpato”, senza sbandierare subito il risultato ai quattro venti, addirittura come una vittoria della (nuova) posizione ferma dell’Italia. Sarebbe stato meglio chiudere tutta la faccenda alla chetichella, pur di non alterare i rapporti con gli altri Paesi UE, Francia in testa.

Ecco allora le due spiegazioni possibili: la prima, una visione complottista. Sitratterebbe di un calcolo perverso per sfasciare l’Unione europea, per esasperare le tensioni tra gli Stati membri, rompere con i big, fare gruppo coi “quattro di Visegrad” (che diventeranno cinque?), e provocare l’implosione da tempo auspicata di un’architettura europea ritenuta obsoleta e “lontana dal popolo”, secondo le visioni delle destre mondiali antiglobaliste.

La seconda, che non si vorrebbe prendere in considerazione per carità di patria, è che si sia trattato di un episodio di superficialità, incoscienza, incompetenza, improvvisazione. Tutte caratteristiche lontane da una cultura di governo di una grande nazione (come dice Meloni), e che comunque depongono malissimo per il futuro. E’ andata così? In ogni caso, si è scatenato l’inferno. Certo la reazione della Francia è stata sproporzionata, ma il “tranello” italiano avviene in una Francia dilaniata da scioperi, crisi economica e tensioni politiche durissime. Già i media francesi avevano attaccato Macron solo per aver incontrato Meloni, la premier “post-fascista” a capo di un governo di estrema destra (così ci vedono in Francia, è bene saperlo). Figurarsi ora: il governo francese non poteva che attaccare l’Italia su tutti i fronti possibili, con l’evidente obiettivo di isolare il virus sovranista, a dispetto di tutte le manovre di appeasement messe in atto da una Meloni ancora nella scia di Draghi. E poi? Staremo a vedere, se il presidente Mattarella farà ancora una volta il miracolo, come nel febbraio 2019 ai tempi della crisi Di Maio-gilet gialli, o se ci sarà un ripensamento (improbabile) del nostro governo, o se l’isolamento italiano nella UE avrà globalmente un esito infausto.

Una terza spiegazione? Sembra incredibile, ma l’aveva anticipata la stessa Meloni, in tempi non sospetti. Quasi a mettere le mani avanti, subito dopo aver ricevuto l’incarico, diceva di temere imboscate dai suoi sodali, Salvini e Berlusconi (guarda caso i primi a enfatizzare sui media la “vittoria” italiana sulla Francia e i partner europei nel caso Ocean Viking). Riferendosi a loro, aveva detto a un giornalista di sentirsi come la rana con lo scorpione, nella nota favola di Esopo: prima o poi lo scorpione ucciderà la rana, per finire affogato nello stagno lui stesso. Perché fare harakiri in questo modo? Perché è la sua natura. O, se preferite, la sua “identità”. Ma chi sarebbe lo scorpione? Solo Salvini e Berlusconi, con Meloni come rana? O piuttosto – ahimè – la rana è l’Italia e lo scorpione “identitario” è il governo di destra nel suo insieme, Meloni compresa?

Francesco Caroli