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Politica contro “Macchina”: l’eterna sfida nella pubblica amministrazione
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Politica contro “Macchina”: l’eterna sfida nella pubblica amministrazione

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I politici scelti dai cittadini sono chiamati a guidare le “macchine” (Ministeri, Assessorati, Dipartimenti, ecc), o a sceglierne gli “autisti” per indirizzarle e deciderne la velocità. È questo il principio su cui si basa il nostro sistema democratico, ma funziona davvero così? Il dibattito su come riaffermare la supremazia della politica sulla macchina amministrativa, da alcuni brutalmente chiamata “burocrazia”, è tornato in voga nelle ultime settimane, ma mentre sono poche le voci dissonanti sulla necessità che avvenga questo cambio di scenario, le idee su come raggiungere lo scopo non sono sempre convincenti.

Qualche settimana fa, infatti, sulle pagine del Foglio, Carmelo Caruso, lanciava, con inventiva, il simpatico termine di “twist system” al posto del famigerato spoils system. L’ha fatto per riassumere con una battuta la “nuova” metodologia del neo-Governo di destra sullo Spoils system: “I dirigenti devono ruotare per evitare che diventino i ministri dei ministro” è questo l’obiettivo strategico, ovvero, l’estensione, ai dirigenti pubblici di vario livello, dell’obbligo di rotazione nelle varie direzioni per evitare il consolidarsi di reti di potere, relazioni e prassi che, a parere dell’attuale Governo, sono ormai fuori controllo. La proposta nasce con l’obiettivo di evitare il presunto “strapotere” della macchina amministrativa e ri-affermare la centralità della politica rispetto all’alta burocrazia. Ovviamente lo stesso Caruso alla fine sottolinea come il metodo -twist- restituirebbe sì peso alla politica ma anche rinnovate responsabilità, non potendo infatti più scaricare le proprie colpe sulle ormai celebri “manine dei burocrati”.

Il dibattito sullo Spoils system è in corso da giorni sui principali quotidiani e soprattutto nei corridoi del potere. Sempre a mezza bocca, o nelle pagine di ripiego, perché lo Spoils system è un tema cruciale ma che si accompagna al timore di parlarne apertamente. Ma a cosa ci riferiamo con questo termine?

Lo spoils system (traduzione letterale dall’inglese: sistema del bottino) è la pratica politica, nata negli Stati Uniti d’America tra il 1820 e il 1865, con la quale gli alti dirigenti della pubblica amministrazione vengono scelti dalle forze politiche al governo, che affidano dunque la guida della macchina amministrativa a persone che ritengono non soltanto capaci (almeno in teoria), ma anche desiderose di raggiungere gli obiettivi politici prefissati dall’alto. Soprattutto in Italia, spesso questa pratica viene confusa con il clientelismo, ma in realtà, si tratta di un’espressione moralmente neutra che descrive una prassi formalmente riconosciuta e apertamente applicata negli Stati Uniti d’America come in altri paesi occidentali. È utile ricordare come l’espressione (spoils system) sia stata resa famosa da un discorso pronunciato dal senatore americano William Marcy nel 1832, durante il quale, difendendo una delle nomine del presidente Andrew Jackson, disse: “To the victor belong the spoils of the enemy” (in italiano: “Al vincitore spetta il bottino del nemico”). Un’interpretazione, quest’ultima, fuorviante, benché efficace, visto che la legittimità della pratica è garantita dal ruolo svolto dagli elettori, chiamati a valutare periodicamente i politici e le loro scelte, ivi comprese quelle relative alle nomine della classe dirigente.

In Italia a partire dagli anni novanta, con l’affermarsi dei sistemi elettorali maggioritari (legge Mattarella per il Parlamento e legge 25 marzo 1993, n. 81 per comuni e province), l’espressione spoils system è diventata di uso comune ed è regolata dalla legge 15 luglio 2002, n. 145 e dalla successiva legge 24 novembre 2006 n. 286 (di conversione del decreto legge 3 ottobre 2006 n. 262), che prevede la cessazione automatica degli incarichi di alta e media dirigenza nella pubblica amministrazione passati 90 giorni dalla fiducia al nuovo esecutivo (cioè la nomina di un nuovo governo); un sistema simile è operante verso enti e/o società controllate dal settore pubblico. L’istituto ha come ratio legis la necessità di imporre fiducia e armonia fra l’amministrazione e la politica quale elemento necessario per il buon andamento della pubblica amministrazione. È opportuno ricordare come anche la Corte costituzionale, nella nota sentenza 233/2006, ha confermato la validità del sistema dello spoils system, affermando come la necessità del buon andamento della pubblica amministrazione sia in effetti prioritario rispetto al principio di imparzialità.

Ma ha senso intervenire nella particolare relazione tra politica e macchina amministrativa/burocratica con l’obiettivo preciso di limitare la parte riguardante il presunto strapotere che ha la seconda ha acquisito negli ultimi anni?

Premettendo che in democrazia, il conflitto tra punti di vista diversi, se regolato, è salutare alla democrazia stessa, a parere di chi scrive, se in taluni singoli casi è effettivamente oggettivo lo squilibrio di potere a favore dei dirigenti in virtù delle loro rendite di posizione, nella maggioranza degli altri casi, invece, assistiamo a questo squilibrio a causa dell’incapacità e della scarsa preparazione di alcuni degli amministratori politici eletti.

Soprattutto, ma non solo, con l’esplosione dei “movimenti dal basso”, come Lega Nord negli anni ‘90 e 5stelle negli anni ‘00 e/o dei partiti personali, spesso assistiamo alla situazione in cui, mediamente, la differenza di competenze amministrative tra eletti/amministratori politici e dirigenti pubblici è troppa e a sfavore dei primi. La politica non riesce a guidare la macchina semplicemente perché non sa come funziona (e quindi non riconosce dove essa non funziona correttamente). Un ragionamento che può sembrare astratto ma che incide profondamente nelle nostre vite e nel nostro sistema democratico. La soluzione non è certo avere solo politici esperti di diritto amministrativo, anzi. È opportuno ricordare come la competenza principale di un buon eletto/amministratore politico debba essere soprattutto politica, nel senso autentico del termine: gestione del potere, del consenso e dei conflitti.

Ovviamente la debolezza della politica è ascrivibile anche alle scelte compiute da tutti noi elettori. A prescindere dai sistemi elettorali che, più o meno, permettono la scelta diretta dei propri rappresenti è indubbio che negli anni abbiamo assistito a una vera e propria denigrazione della competenza e della professionalità politica, oltre che al mancato riconoscimento e alla costante delegittimazione della burocrazia e delle regole amministrative. E ciò ha favorito le scelte degli elettori sulla base di criteri come la simpatia, le mode e la capacità comunicative, quest’ultime spesso legate alla capacità di cavalcare rancore e invidia sociale.

La debolezza della politica deriva, più che dalla forza dei dirigenti pubblici, dal mancato riconoscimento del suo valore e della sua importanza nell’elettorato, il quale premia e decide di farsi rappresentare da persone non sempre preparate dal punto di vista politico e amministrativo. In questo processo di degenerazione grandi responsabilità sono da imputare anche ai corpi intermedi che spesso assecondano gli istinti della popolazione invece di indirizzarli con pazienza e attuare un duro lavoro di formazione della classe dirigente. Alla luce di tutto questo arriviamo a poter affermare il paradosso finale per cui se il popolo sceglie gente che non è capace (o non sa), allora benedetta burocrazia. Un grazie, dunque, ai dirigenti pubblici che, sempre sotto la tagliola dell’azione a volte cieca e in cerca di visibilità della Magistratura, continuano a guidare la macchina seppur a velocità lenta o, addirittura ferma, impedendole perlomeno di andare a sbattere.

Francesco Caroli