Home Cultura L’epica degli anti-eroi – Luca Argentero inaugura la nuova stagione del “Verdi” con “È questa la vita che sognavo da bambino?”
L’epica degli anti-eroi – Luca Argentero inaugura la nuova stagione del “Verdi” con “È questa la vita che sognavo da bambino?”
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L’epica degli anti-eroi – Luca Argentero inaugura la nuova stagione del “Verdi” con “È questa la vita che sognavo da bambino?”

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Un momento dello spettacolo di ieri

BRINDISI – In un’epoca di supereroi, di narrativa dell’eroismo, di spasmodica ricerca di eroi del giorno, Luca Argentero spiazza tutti con uno storytelling divertente e divertito di tre storie di sport, di tre personaggi che potevano essere eroi duri e puri ma che sono diventati degli anti-eroi per scelta o per destino. Vi racconterò di loro per parlarvi di me, dice Luca Argentero all’inizio di “E’ questa la vita che sognavo da bambino?”, perché anche loro come me, quando sono stati nel dubbio se fare o non fare qualcosa, hanno deciso di farla.

È proprio questo il leit-motiv dell’intero spettacolo, il turning point di ognuna delle tre vite e imprese raccontate: e nel dubbio, lo fa, come a voler stigmatizzare che a volte nella vita, ogni scelta, ogni decisione può essere un atto di eroismo.

Si parte con Luigi Malabrocca, il ciclista che arrivava sempre ultimo al Giro d’Italia. Proprio per questo, nel dopoguerra, diventò il simbolo di quell’Italia resiliente che arrancava e con ironia sbarcava il lunario: attirò gli sponsor, faceva simpatia, divenne il celebre pioniere della maglia nera ed entrò nella leggenda del Giro. Loro vincono e io mi riempio la cantina, diceva, e il perdere, ma perdere per davvero arrivando ultimo, diventò la sua missione quando scoprì che al detentore della maglia andavano premi e regali quasi quanto a chi vinceva il Giro. In quegli anni, l’eroe che infiammava l’Italia intera era Fausto Coppi ma anche Malabrocca, a modo suo, era una star, segno che per arrivare sul podio non sempre serve vincere.

E poi Alberto Tomba. Il leggendario campione di sci, provocatore, divo, playboy, icona degli anni ’90 e di quella vita da cinepanettone che gli italiani sognavano, uno dei personaggi più pop dello sport italiano; un eroe anomalo anche lui, uno che si buttava e non solo letteralmente in pista, uno più bizzarro di una rockstar, che è riuscito a fermare Festival di Sanremo, a tenere incollata davanti allo schermo una nazione intera, a far innamorare un popolo di lui e di uno sport che fino a quel momento non era mai stato popolare. La sua storia è un grande romanzo, è un po’ un sogno collettivo che si è tradotto in medaglie d’oro e trofei e che è entrato nella leggenda. Ma che è fatto anche di grandi cadute, di scelte azzardate (vedi alla dimenticabile voce cinema con Alex l’Ariete), di grandi stupidaggini, di arresti, di processi. E che si conclude in un modo che sarebbe davvero perfetto per un romanzo. Un pianto, nella neve, la sua neve, che lo aveva accolto quando era un ragazzo di Bologna e che lo cullava nel giorno dell’addio agli sci.

Infine, Walter Bonatti, la storia più tragica delle tre. Lui, che era davvero un eroe ma è stato dipinto per decenni come un antieroe. Il re delle Alpi, una vita dedicata alla montagna, impegno, dedizione, avventura, soddisfazioni e delusioni. Una, la più grande della sua vita, fu quella scalata al K2 in cui mancò la cima: un episodio oscuro, versioni diverse, un tradimento che tinse di giallo quella clamorosa impresa del luglio del 1954. La parte più emozionante dello spettacolo, il racconto del K2. Io quel giorno dovevo morire, disse poi Bonatti. Sopravvisse ma con un grande peso sul cuore: gli altri due alpinisti di quella spedizione dissero di essere arrivati in cima senza l’ossigeno che invece Bonatti, rischiando appunto la vita, aveva loro portato al campo più alto. Chissà perché raccontare una menzogna tanto infamante. Bonatti non se lo spiegherà mai e perderà per sempre la sua fede negli uomini, ma andrà avanti, continuerà le sue scalate e tra queste, anche quella metaforica che gli consumerà l’anima, quella verso la verità che arriverà ben cinquantanni dopo quel luglio del ’54. Una vita dopo.

Uno spettacolo popolare, ritmato, che riesce a intrattenere, divertendo ed emozionando, anche chi non è avvezzo a storie di sport. Perché lo sport è, poi, una grande antonomasia dell’andare oltre. Oltre le proprie forze, i propri limiti, i propri sogni per acchiapparli. Oltre gli eroi. Tanto, a modo nostro, lo siamo tutti.

F. Taurisano