Home Cultura L’Ora de “Le Colonne” – Dopo l’arresto di Pasimeni, andò a caccia di saraghi e ritrovò i bronzi di Punta del Serrone. L’eccezionale testimonianza del Generale Robusto
L’Ora de “Le Colonne” – Dopo l’arresto di Pasimeni, andò a caccia di saraghi e ritrovò i bronzi di Punta del Serrone. L’eccezionale testimonianza del Generale Robusto
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L’Ora de “Le Colonne” – Dopo l’arresto di Pasimeni, andò a caccia di saraghi e ritrovò i bronzi di Punta del Serrone. L’eccezionale testimonianza del Generale Robusto

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BRINDISI – Era stata una giornata particolarmente dura: l’arresto di un esponente di spicco della Scu come Pasimeni aveva fiaccato corpo e mente di quel giovane comandante ad interim dei carabinieri che, così giovane, si era trovato catapultato ad affrontare in prima linea le problematiche di una Brindisi che, nel 1992, era una polveriera, tra una Scu all’epoca all’apice, il fenomeno del contrabbando e l’arrivo in massa degli albanesi.

Il comandante Luigi Robusto, quella sera, era stanco: non aveva tanta voglia di accogliere l’invito di Pino Tamburrano, giovane istruttore di sub, a immergersi nelle acque di Punta del Serrone per andare a caccia di saraghi. Dopo un po’ d’insistenza, il comandante si fece convincere, anche perché gli sarebbe servito per conseguire il brevetto da sub.

Mentre gli altri compagni andavano a caccia di un sarago, però, il comandante decise di cercare altro, ovvero ostriche imperiali da regalare alle signore brindisine nel momento in cui avrebbe lasciato la città.

Cerca e cerca, ad un certo punto, a 16 metri di profondità, s’imbatte in un anfratto di fondale nel quale scorge qualcosa di insolito. Si avvicina, e all’improvviso gli si ghiaccia il sangue: è un piede numero 43. Per deformazione professionale pensa subito a un rinvenimento macabro. Non sa cosa fare, poi prende il coraggio a due mani, chiude gli occhi e allunga la mano per afferrare quel piede. Lo avvicina ai propri occhi e scopre che si tratta di un piede in bronzo ricoperto di mucillagine. Un piede probabilmente appartenente a una statua di epoche lontane.

L’entusiasmo è irrefrenabile e quel gruppetto di giovani decide di avvertire immediatamente chi di competenza, di presidiare l’area e di continuare a immergersi alla ricerca di altri pezzi. Nelle ore successive decidono addirittura di acquistare a loro spese l’attrezzatura necessaria per proseguire la loro impresa, nelle more che gli addetti ai lavori arrivassero sul posto.

Il resto è storia conosciuta ed ammirabile all’interno del museo Ribezzo di Brindisi.

A distanza di 27 anni, quel temerario comandante ne ha fatta di strada: oggi ricopre il ruolo di Generale di Capo d’Armata dell’Arma dei Carabinieri. Quando sente la mia “giovane” voce al telefone si compiace. Già, perché il forte senso del dovere e il particolare periodo storico vissuto in quegli anni dalla città, hanno quasi fatto passare in secondo piano un rinvenimento che il Generale definisce importante almeno quanto quello dei bronzi di Riace. Altri tempi, altre sensibilità, altre priorità.

“La sua chiamata – confessa il generale Robusto – mi fa estremamente piacere perché sta a significare che quanto seminato 27 anni fa, adesso sta germogliando”.

In effetti, la consapevolezza e l’attenzione attorno ai beni culturali e alla cultura in generale è cresciuta in città da quel 1992 in maniera inversamente proporzionale all’andamento del contrabbando e delle fortune della Scu. Il Generale lascia trasparire il suo entusiamo quando apprende che un’associazione locale composta da giovani professionisti, l’associazione “Le Colonne” presieduta da Anna Cinti, si occupa quotidianamente di valorizzazione di beni culturali e che la stessa mi ha indirizzato verso la sua figura per raccogliere una testimonianza eccezionale, la più rappresentativa di una scoperta che ha segnato la vita culturale della comunità brindisina.

“Quello di cui vado più orgoglioso – afferma il Generale – è di essere riuscito a distogliere per un attimo, con quella scoperta, l’attenzione della comunità brindisina dalle notizie negative che quotidianamente riguardavano la città”. Certo, qualche rammarico c’è, perché quella scoperta, dalla quale ne è conseguito il recupero di decine e decine di ritrovamenti archeologici d’inestimabile valore, non ha ricevuto la giusta attenzione da parte della comunità. Nessuna intervista richiesta dai giornali locali, mentre da tutto il mondo accorrevano a Brindisi giornalisti per raccontare a New York o a Londra di quella incredibile vicenda. Finanche la regina d’Inghilterra si interessò di quel ritrovamento, fino a far pervenire all’allora comandante la voce che in Inghilterra uno come lui sarebbe stato certamente insignito del titolo onorifico di “Sir”.

Qualche anno dopo, in verità, di riconoscimenti e medaglie il comandante Robusto ne ha collezionati anche in Italia. Adesso è maturato forse il momento di tornare a Brindisi per ricevere il ringraziamento che merita per la carica umana e professionale con la quale ha servito la nostra città, restituendole la consapevolezza di essere depositaria di una grande storia sulla quale puntare per traguardare un futuro diverso.

L’associazione Le Colonne ha in animo di invitare il Generale Robusto per riaccendere i riflettori sui bronzi di Punta del Serrone e riaprire il dibattito ascoltando i protagonisti di quel fantastico spaccato di vita cittadina. Certamente il Generale non se lo farà ripetere due volte. D’altronde, dal 2004 al 2007 è tornato in questa terra, ricoprendo la carica di comandante del comando provinciale di Lecce e al termine del mandato gli è stata conferita la cittadinanza onoraria dei Comuni del Nord Salento.

“In quegli anni ho avuto modo di tornare a Brindisi ed ho trovato una città bellissima, quasi irriconoscibile. Ho soltanto un cruccio: sono convinto che tra i fondali di Punta del Serrone si nasconda ancora un tesoro inestimabile, perché non tutto è stato portato a galla”.

La venuta a Brindisi sarebbe l’occasione propizia per riascoltare una storia straordinaria, riaprire un file forse troppo frettolosamente chiuso e, perché no, conferirgli la cittadinanza onoraria per quell’intuizione che lui definisce frutto della fortuna, ma che, come molti gli hanno fatto notare, è figlia dell’audacia.

Andrea Pezzuto