Home Economia e lavoro Porto La CGIL chiede l’autonomia del porto di Brindisi: “Solo così potrà svilupparsi. Crediamo sia d’accordo anche il Presidente dell’ente”
La CGIL chiede l’autonomia del porto di Brindisi: “Solo così potrà svilupparsi. Crediamo sia d’accordo anche il Presidente dell’ente”
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La CGIL chiede l’autonomia del porto di Brindisi: “Solo così potrà svilupparsi. Crediamo sia d’accordo anche il Presidente dell’ente”

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BRINDISI – Brindisi è sprofondata in una crisi dovuta oltre che al problema covid – 19, a situazioni locali che saranno aggravate dalla prossima chiusura della centrale Enel Sud e del relativo indotto.

Tuttavia, al contrario di altre realtà, si intravedono possibilità di sviluppo pienamente ecosostenibile, fondato sulla valorizzazione delle risorse locali, umane e naturali, puntando decisamente sulla logistica, sul turismo e sull’agricoltura.
Gli obiettivi primari da raggiungere sono il nuovo piano regolatore del porto, il nuovo PUG con gli adeguati raccordi tra le varie modalità del trasporto, la piena disponibilità delle industriali attualmente del tutto inutilizzate.
È un cammino irto ed in salita, ma è percorribile se tutte le parti coinvolte, politiche e sociali, collaboreranno attivamente e fattivamente.
Lo sviluppo del porto di Brindisi è uno dei nodi cruciali per il futuro prossimo della città. La necessità di imbastire azioni urgenti e in netta controtendenza con la storia recente e remota di una delle infrastrutture più importanti per il territorio è evidentemente una priorità che deve tornare in cima all’agenda politica locale, regionale e nazionale.
Per cominciare, la Cgil chiede lo scorporo del porto di Brindisi dal sistema dell’autorità portuale: solo in questo modo, infatti, si può riprogrammare l’assetto e le strategie che potrebbero rendere il porto di Brindisi il volano per la ripresa e il rilancio dell’intero sistema economico del territorio. Viceversa, qualora le cose rimanessero così come sono, il porto, insieme alla città, è destinato a un declino senza possibilità di ritorno, come previsto dagli esperti e come ribadito in più occasioni da studiosi e addetti ai lavori.
Il porto di Brindisi ha grandi potenzialità mai espresse proprio a causa della subalternità cui è stato relegato dalle decisioni prese altrove nel tempo: vicinanza a tutti gli altri sistemi di trasporto, disponibilità per lo sviluppo della logistica e degli indispensabili servizi sono solo alcuni degli esempi delle occasioni mai sfruttate per la realizzazione di un interporto efficiente e all’avanguardia.
A fronte di una situazione oggettivamente difficile, è necessaria una decisa inversione di tendenza che si può realizzare solo puntando sull’implementazione di una logistica che connetta il porto, come fulcro del sistema trasporti, alla città in maniera organica. Servono autonomia decisionale e competenza tecnica di altissimo livello, indispensabili per far tornare il porto al centro dell’economia: così si valorizzerebbero le risorse locali, in particolare l’agricoltura e il turismo, creando anche nuove tipologie di lavori ecocompatibili e tutta una serie di ricadute positive derivanti dal nuovo modello organizzativo di cui l’infrastruttura ha urgente bisogno.
Di questo processo, ne gioverebbe non solo il territorio brindisino ma l’intero Mezzogiorno che potrebbe tornare a contare su un’infrastruttura trainante per interi comparti che sono in sofferenza da anni.
Per questo c’è bisogno di puntare forte su servizi come energia elettrica, acqua, banda larga, università, manodopera qualificata.
Si intuisce che è innanzitutto necessario approvare un nuovo piano regolatore del porto e il Pug del Comune, per connettere definitivamente città e porto; ma ancor prima di tutto ciò, è indispensabile che il porto di Brindisi esca dall’ADSP del Mar Adriatico Meridionale che lega mani e piedi la nostra infrastruttura, condizionata dalla gestione di altri porti dell’Adriatico che hanno caratteristiche e bisogni diversi da quello brindisino.
Questo risultato, a differenza di quanto si possa pensare, non è di difficile realizzazione, come dimostra il caso del porto di Messina, accorpato a Catania in virtù della legge Del Rio e scorporato con la costituzione dell’Autorità Portuale di Messina, o, più di recente, con l’istituzione dell’Autorità della Laguna veneta.
La riforma Del Rio era nata con buoni propositi perché si sentiva forte una riforma della L. 84/94 poiché la competitività dell’intera portualità italiana è in forte declino da oltre un decennio; tuttavia l’accorpamento di alcune autorità portuali, in particolare nelle Autorità di Sistema dove i porti importanti sono due o più, e l’introduzione del piano strategico di sistema hanno finito per peggiorare la situazione.

Ad esempio i porti di Brindisi e Bari hanno caratteristiche del tutto differenti ed hanno bisogno ciascuno di una gestione diretta e di una struttura quotidianamente presente sul territorio, in stretto e continuo contatto con tutti gli interlocutori istituzionale e tutte le parti sociali; ciò vale anche per altre realtà, come ad esempio la Sardegna.
Inoltre è ormai convinzione diffusa, anche ai più alti livelli tecnici e politici nazionali, che l’introduzione delle Autorità di Sistema e il piano strategico hanno di fatto reso impossibile l’approvazione sia di nuovi piani regolatori sia di nuove varianti.
Il caso di Taranto, per noi, è emblematico: il porto ionico, a differenza del nostro, è proiettato al futuro poiché nel 2010 è stato presentato il nuovo piano regolatore ma anche perché nell’Autorità di Sistema c’è solo il porto di Taranto.
Va anche considerato che il porto di Brindisi sta diventando ingombrante anche per Bari: i costi di gestione probabilmente superano di molto le entrate, specie quando sarà concluso il traffico del carbone, già ridotto ai minimi termini, previsto per il 2025, praticamente domani.
Per questo e per le altre ragioni suesposte, è presumibile che lo stesso Presidente dell’ADSP MAM sia pienamente d’accoro sullo scorporo.
Dopo lo scorporo, si potrà e dovrà procedere con l’approvazione di un nuovo piano regolatore da affidare a tecnici qualificati che possano individuare le aree nelle quali intervenire per sbloccare tutti quei canali che al momento risultano intasati e che inibiscono l’attrattività di Brindisi e la mortificazione delle sue tante e inespresse potenzialità: basti pensare alla presenza dell’unica base logistica dell’Onu, oltre alla presenza di una rete di collegamenti e trasporti unica al mondo.
Gran parte delle responsabilità dello stato in cui versa il porto di Brindisi è sicuramente da imputare alle precedenti gestioni che hanno sprecato importanti risorse, sperperate in progetti senza prospettiva e idea d’insieme come il terminal hub, il terminal crociere, lo scalo hub banane, la banchina a ridosso diga di Punta Riso per allibo carbone. Altro peccato originale che abbiamo ereditato dal passato è il mancato riconoscimento di Brindisi come porto core. Certamente l’attuale presidente ha ben altre caratteristiche, ma come prima chiarito, dovrebbe dedicarsi con adeguato personale, esclusivamente al nostro porto.
Lo scalo portuale brindisino ha tutte le caratteristiche per assumere un ruolo di primo piano nello sviluppo del territorio e, per questo, chiediamo come Cgil l’adozione delle misure necessarie a restituire la giusta rilevanza all’infrastruttura fra le più importanti del territorio. Per consentire la piena espressione delle potenzialità che la città offre abbiamo bisogno di un porto autonomo, efficiente e all’avanguardia, che sia in grado di recuperare il tempo perso e che intercetti i cambiamenti che negli ultimi decenni hanno investito l’economia e la società: il primo passo per riprendere la posizione strategica che il porto merita è lo scorporo dallo scalo dall’ADSP MAM e la redazione e l’approvazione in tempi ragionevoli di un nuovo piano regolatore che liberi finalmente le energie che per troppo tempo sono rimaste imbrigliate nei legacci gestionali di natura burocratica.

Il Segretario Generale
Antonio Macchia