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L’avvertimento
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BRINDISI – Come funziona, quindi? Ve lo spieghiamo. Funziona che Brindisi Bene Comune può definire i giornalisti scribacchini a gettone, può dare patentini di sessismo, alcuni propri iscritti e candidati possono scrivere sui social che questo giornale è “orina”, che il sottoscritto è al soldo di presidenti di enti o che è uno “scapucchione” e chi più ne ha più ne metta (sarebbe troppo lungo l’elenco di offese ricevute). Tutto questo è lecito: tutto ciò non fa ritenere alla maggioranza politica che regge il Comune che si sia oltrepassato il limite; non fa ritenere opportuno all’Ordine dei giornalisti un intervento per stigmatizzare quanto di increscioso sta accadendo a Brindisi.

Quello che non è lecito, di tutta questa vicenda, sarebbe solo e soltanto un nostro articolo con il quale stigmatizziamo un atteggiamento squadristico perpetrato da una fetta della sinistra movimentista locale e richiamiamo all’ordine il partito più rappresentativo di quest’area, ovvero Brindisi Bene Comune.

Ebbene, questo secondo l’Ordine dei giornalisti non si può fare, o meglio, si può fare ma evitando toni aspri e riferimenti a Brindisi Bene Comune. Insomma, nella sostanza non si può fare.

È un po’ come quel pugile che le prende di santa ragione e per giunta viene bloccato alle spalle per evitare che si difenda.

Il nostro modo di fare giornalismo, lo ammettiamo, può risultare poco digeribile, ma mai abbiamo mosso un’osservazione o un’accusa che non fosse incentrata sul merito delle questioni, fatti e dati alla mano.

Non cambieremo di una virgola questo approccio. Certo, il fatto che un articolo scritto in difesa di tutti coloro i quali sono stati colpiti in questi anni dalle inaccettabili campagne mediatiche di quella parte politica sia costato al sottoscritto un avvertimento da parte dell’Ordine dei giornalisti fa pensare che, con questo discutibile metro di giudizio, non avremo ‘lunga vita’.

La speranza è che quest’ultima considerazione resti solo una provocazione e non risulti predittiva di spiacevoli sequel. Perché se così dovesse essere, si spiegherebbe come mai l’Italia è dietro a Ghana e Burkina Faso nella classifica sulla libertà di stampa.