Home Approfondimenti Brindisi e il basket: una storia d’amore fuori dal comune. Ecco perché!
Brindisi e il basket: una storia d’amore fuori dal comune. Ecco perché!

Brindisi e il basket: una storia d’amore fuori dal comune. Ecco perché!

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BRINDISI – Alcune società sportive hanno un’identità più forte di altre e tifarle e appartenere al loro contesto costituisce un’esperienza che va oltre l’aspetto sportivo, fino a definire in parte anche l’identità della persona che tifa. Questo è quello che sta accadendo in città, a maggior ragione in questi giorni, perché la “nostra” Happy Casa Brindisi è, al momento, regina incontrastata del campionato italiano. Società, giocatori e soprattutto pubblico e tifosi sono in estasi per le gesta di questa squadra, che sta realizzando una vera e propria impresa!

Senza distinzioni di età, genere e classe sociale, non si parla d’altro e quello che sta accadendo nel basket sta regalando alla città grandissime emozioni, non semplicemente gioia o entusiasmo, ma, come si legge su molte bacheche nei social, “godimento puro”.

Ma come mai tra il tifoso e la squadra si crea questo profondo legame di identificazione ed empatia? Molti direbbero che è stupido appassionarsi ad uno sport in cui non si partecipa attivamente, ma vi sono solo degli sconosciuti che inseguono una palla; oppure che lo sport, al tifoso (che magari ha una vita soddisfacente ma non eccelsa), serva solo a legarsi a qualcosa a cui dedicare il proprio amore, poiché non ha oggetti d’amore che riempiono del tutto la sua vita e quindi, per provare emozioni positive, si rivolge ad altro; oppure può essere utile convincersi di aver partecipato egli stesso a qualcosa di grande (un grande dramma o un grande sogno). Ma a Brindisi non è così: sarebbe davvero troppo riduttivo. Il tifoso brindisino attraverso la sua squadra definisce se stesso, perché la squadra rappresenta i valori culturali in cui crede e che difende, e proprio grazie a questo legame, il tifoso sente come proprie le vittorie della squadra (e, di conseguenza, anche le sconfitte), sente che egli stesso, insieme alla squadra, si sta affermando e realizzando, perché, in virtù di questo legame, il tifoso sente anche di contribuire al successo della sua squadra, soprattutto in questo momento di difficoltà in cui non è possibile contribuire attraverso cori, canti e coreografie per dare il proprio sostegno, ma è possibile soltanto tifare da casa, magari saltando dal divano ad ogni canestro, per aiutare i nostri eroi a portare a casa la partita. Quando la squadra vince, il tifoso vince. Quando la squadra perde, il tifoso perde. La vittoria o la sconfitta non determinano solamente l’acquisizione di 2 o 0 punti in classifica ma provocano vere e proprie fluttuazioni emotive – in grandi fasce della popolazione – che durano giorni, settimane, a volte anche anni. Basti pensare che molti, guardando la partita contro Milano, hanno ricordato vividamente la storica e indimenticabile vittoria, seguita da una (o più) notte insonne, di una decimata Enel Brindisi contro l’imbattibile Siena.

In psicologia si potrebbe parlare di un fenomeno definito in-group / out-group bias, ovvero una distorsione nella percezione delle differenze tra chi appartiene al proprio gruppo e chi no con la tendenza a valorizzare il proprio gruppo/categoria di appartenenza e a discriminare o considerare peggiori gli altri gruppi/categorie. Ci identifichiamo con la nostra squadra e in quanto tifosi della nostra squadra (in-group) e arriviamo a “disprezzare” l’altra squadra e i loro fan (out-group). Questo è il cuore della rivalità sportiva: ci entusiasmiamo nella gloria riflessa quando la nostra squadra vince, accrescendo l’autostima con le vittorie, che, invece, diminuisce con la sconfitta. L’ingroup, inoltre, contribuisce a mantenerne la distintività: i membri di un gruppo sono portati a valorizzare ciò che differenzia il proprio gruppo dagli altri e a percepirsi, tra loro, più simili di ciò che sono realmente. Ma se esistono dei migliori devono necessariamente esistere dei peggiori: l’altro gruppo, quindi, viene escluso, emarginato, isolato. Ciò comporta degli effetti negativi quali pregiudizi, discriminazioni e bias a favore dell’ingroup.

Significativo il fatto di come spesso tifosi, ma anche cronisti, giornalisti, utilizzino implicitamente la metafora della guerra per parlare delle partite, e dal linguaggio che viene utilizzato è proprio questo ciò che emerge. Si parla di allenatori che schierano giocatori, il giocatore principale è il capitano, ad alcuni giocatori vengono dati soprannomi dallo stile militare, esiste la difesa e l’attacco, quando una squadra vince in trasferta si dice che la squadra ha espugnato il palazzetto, una tripla viene definita una “bomba”.

Dal punto di vista psicosociale quello del tifoso non è un semplice hobby, un modo per occupare il tempo, o per sfogare l’aggressività, ma il tifoso dell’Happy Casa partecipa attivamente a questa “guerra”, grazie anche al continuo coinvolgimento della società e dei giocatori stessi che quotidianamente ringraziano i brindisini per il calore che gli trasmettono. Quella del tifoso è un’identità sociale, ovvero una porzione di identità che deriva dall’appartenenza di gruppo alla propria squadra.

Tutto ciò è comunque bellissimo e ne è la prova la gioia e la gratificazione che aleggia in città dopo aver osservato la classifica. C’è una città intera che sogna un’impresa sportiva stile Leicester; la città si riconosce in questo sogno, creando a sua volta un forte senso di comunità e partecipazione. Anche perché a favorire l’identificazione non vi è soltanto l’aspetto sportivo, ma davanti agli occhi del brindisino c’è una squadra straordinaria, ovvero extra ordinaria, fuori dalla norma, anche e soprattutto per i valori morali. Una squadra fatta di uomini ancor prima che giocatori di basket, che mostrano umiltà, rispetto e amicizia, fuori e dentro al campo. È così che si è creato un feeling particolare con la gente, la quale ha percepito e condiviso questi valori fondamentali.

Insomma, quello che ci sta facendo vivere l’Happy Casa è la rivalsa di una città intera che, continuamente deturpata e maltrattata, sommersa dai problemi, ritrova nel basket l’unica eccellenza, il riscatto, il successo che questa città merita, e quello di cui i suoi cittadini hanno bisogno, soprattutto perché le difficoltà per arrivare a questo punto sono state tante, ci sono voluti molti anni fatti di sudore e sofferenza, e questo sì, dà speranza, perché permette di credere con maggiore forza che in fondo davvero tutto è possibile.

D.ssa Viviana Guadalupi, Psicoterapeuta