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I volti di pietra della politica
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I volti di pietra della politica

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BRINDISI – Cambiano le stagioni politiche e le sigle, passano gli anni e si alternano differenti sistemi elettorali, ma il Parlamento e soprattutto le segreterie dei partiti politici, o ciò che ne rimane, restano popolati sempre dagli stessi volti. In realtà quello della mancanza di contendibilità dei partiti, in primo luogo, nei confronti di correnti ed esponenti outsiders, o semplicemente volti nuovi, è ormai diventato un tema preminente nell’agenda politica italiana. Non passa giorno, infatti, in cui in un qualche partito non si annuncino prese di posizione interne capaci di lacerarne la tenuta dello stesso, oppure tensioni provocate da attacchi personali e sgarbi istituzionali.

E questo, purtroppo, è un problema che si trascina dalla nascita delle Repubblica: dal correntismo interno alla Dc, all’incapacità di trovare un successore di Berlusconi e una sintesi unitaria nel centrosinistra. Tuttora, a destra, Forza Italia è ancora in crisi d’identità, schiacciata tra Salvini e Meloni, mentre a sinistra, Letta cerca la sintesi tra criteri di selezione difficilmente conciliabili e rappresentanza. Ed in entrambi i casi il problema di fondo è riconducibile alla contendibilità interna della leadership partitica (anche ai livello locale) e quindi del confronto tra correnti. Un problema questo, presente sia in grandi partiti, sia in entità più giovani, come +Europa; che nel giro di soli tre anni ha da prima incarnato una corrente liberale di centro, per poi subire una scissione interna le cui sorti rischiano persino di far naufragare il suo progetto politico stesso. Tra l’altro, prima ancora che alcune delle sue idee migliori possano esprimersi. Ed è proprio sull’espressione, questa volta degli iscritti di +Europa, che si è consumata una vera e propria lotte tra “bande” all’interno del partito, la quale ha condotto alle dimissioni di Bonino e di della Vedova.

La prima, difatti, ha individuato nella cupidigia della classe dirigente le cause della autoespulsione, mentre della Vedova l’ha seguita per imporre un congresso, troppo a lungo rinviato, e giungere così a prendere atto della volontà degli iscritti. D’altronde le regole interne a +Europa sono chiare: il congresso doveva tenersi a inizio 2021, mentre c’era chi, in virtù di una posizione solida, sarebbe stato disposto a posticiparlo persino al 2022; non curandosi però di chi si era avvicinato al partito e desiderava dare il suo contributo. In sostanza, nulla di nuovo sotto il sole, ma il dover constatare, per l’ennesima volta, l’assenza di un dialogo tra posizioni differenti e la presenza di politici pronti a prendere la palla e minacciare di tornare a casa, pur di non confrontarsi sui voti, dimostra l’insensibilità verso gli iscritti.

E tutta questa instabilità, questi continui cambi di regole e il non riconoscimento non solo degli avversari politici, ma anche di compagni di squadra che la pensano in maniera diversa, non produce che un effetto: indebolire i partiti politici. Di per sé già dilaniati dalla mancanza cronica di fondi e dall’inseguimento, sempre a ribasso, di proposte populiste di dubbio valore (come il taglio dei parlamentari). In questo modo, inoltre, si finisce spesso per alimentare scissioni quotidiane e la nascita di micro-partiti personali che evitano, per struttura propagandistica, quei momenti di dibattito che rappresenterebbero invece una vera e propria palestra per gli aspiranti “politici”. La formazione politica, infatti, non può essere ridotta a lezioni frontali o comizi, ma dipende da quelle esperienze, da quelle sintesi e quei compromessi che dovrebbero avvenire proprio all’interno di un partito. Occorre quindi più coraggio nel dare spazio ai quei pochi giovani che, anche in quest’epoca di sfiducia nelle istituzioni, hanno ritrovano la passione per la cosa pubblica. La paura di essere spodestati, estromessi, non può fungere da freno per l’ingresso di aria fresca, di idee ed di energie nuove capaci di donare più slancio alle sfide del futuro: un partito fermo è un partito morto.

Se la rappresentatività, tanto invocata con il proporzionale e dai vertici dei partiti, si riduce spesso, soprattutto nei fatti, a liste bloccate e paracadutati che favoriscono sempre gli stessi nomi, i quali poi impediscono discussioni interne sulla leadership. Ed è allora poi evidente perché gli iscritti si allontanino e gli elettori non votino, oppure rivolgano il loro sguardo altrove. D’altro canto la Lega è riuscita, nonostante la sua proposta programmatica, a creare una successione interna e un ricambio della classe dirigente salvando di fatto un partito sulla via del tramonto, mentre chi oggi si professa liberale e democratico, non riesce neppure ad avviare un dialogo interno senza che qualcuno si cucia la bocca o se ne vada via. Occorre dunque ripensare al ruolo laico di quei partiti capaci di premiare e valorizzare le sensibilità dei militanti, promuovendo così una sana partecipazione, spesso ispirata dal desiderio di contare, di decidere nei momenti importanti. Dopo tutto, il confronto dentro un partito è il sale della democrazia; senza di esso, che cosa resterebbe della cosa pubblica?

Francesco Caroli