Home Politica Le destre sono il prodotto di una prolungata contaminazione post-fascista/nazista. Ci cascò Bossi per primo
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Le destre sono il prodotto di una prolungata contaminazione post-fascista/nazista. Ci cascò Bossi per primo

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Lega e FdI non chiederanno mai lo scioglimento dei partiti di estrema destra perché sono contaminati da quelle ideologie, e non da oggi. Non è un fenomeno italiano, è un revanscismo che riguarda tutto l’Occidente. Solo che mentre nel resto d’Europa l’estrema destra si è affermata – o si sta affermando – con il proprio volto, in Italia vi è riuscita sotto copertura. O meglio, dietro la maschera delle destre democratiche, il cui elettorato – sondaggi commissionati da Salvini alla mano – non sembra turbato da discorsi improntati al neo-fascismo o neo-nazismo.

Il libro di Claudio Gatti (I demoni di Salvini) è una formidabile cassetta degli attrezzi per comprendere come il legame tra destre e post-fascismi/nazismi non sia estemporaneo né recente, ma affondi le radici negli anni ’70 e ’80.
Nel libro di Gatti si ritrova Roberto Jonghi Lavarini, uno dei più noti rappresentanti della destra meneghina e personaggio cardine delle recenti inchieste di Fan Page: “Ecco cosa mi dice – racconta Gatti – quando gli chiedo quali siano stati i gruppi della destra «antagonista» milanese culturalmente più attivi tra la metà anni Ottanta e Novanta: «I due gruppi che facevano attività, diciamo, culturale e formativa erano da una parte “Orion”, con una tendenza di superamento destra/sinistra e un’impronta di fascismo di sinistra, e dall’altra “Ideogramma”, più ortodosso e oltranzista, direi neopagano, che si rifaceva alle tradizioni prenaziste dei gruppi nazionalisti tedeschi»”.

Orion è un prodotto di Maurizio Murelli, ex terrorista nero poi reinventatosi ideologo dei movimenti post-nazisti e seminatore di idee discutibili all’interno delle destre italiane, sfruttandone il ventre molle.

Nel proprio libro, Gatti racconta che in un’intervista a «l’Unità» Murelli ha ricordato che il leghista Borghezio aveva, parole sue, «il pallino del complotto giudaico-massonico».
Già, Borghezio, uno dei raffinati anelli di congiunzione tra i due mondi.
Gatti intervista Borghezio, il quale dichiara: «Io ho sempre simpatizzato per i movimenti dell’ultradestra. E posso aggiungere una cosa: non c’è movimento di estrema destra che non mi sia stato simpatico. Compreso il Fronte nazionale di Junio Valerio Borghese».
Per capire il personaggio, nel 1976 ‘La Stampa’ raccontò di una perquisizione in casa di Borghezio durante la quale la polizia trovò, tra le altre cose, una divisa da ufficiale nazista completa di spalline, mostrine e distintivi, con l’aquila nazista e una croce di ferro di terza categoria.
“Ancora più emblematici – rammenta Gatti – sono alcuni minuti filmati senza che Borghezio se ne renda conto (risalenti al 2008, ndr), durante il rinfresco seguito al convegno in cui l’eurodeputato parla, sempre in francese, con tre militanti identitari nizzardi, spiegando loro come evitare il rischio dell’emarginazione politica: «Occorre entrare nelle amministrazioni locali. E dovete insistere molto sulla natura regionale del vostro movimento. È il modo migliore per non essere classificati come nostalgici fascisti, bensì essere visti come un nuovo movimento regionale… la patria, Mabire eccetera… ma sotto sotto siamo sempre gli stessi. Va fatto così»”.

Esattamente l’entrismo del quale si è reso protagonista Borghezio (ma anche Savoini ed altri) nella Lega.
Un entrismo che ha funzionato da subito, perché di Bossi si ricorda spesso il suo professato antifascismo, ma pochi riesumano i suoi discorsi etnocentrici degni di una visione di ben altro tipo.

“Basti pensare – spiega Gatti – al discorso che Bossi fa l’8 febbraio 1989 in apertura del Primo congresso della Lega lombarda, in pratica il suo certificato di nascita. In quell’occasione, introducendo al popolo leghista il concetto dell’etnofederalismo, Bossi parla di diritto/dovere che ogni popolo ha di essere «etnicamente omogeneo»: «La società una società che, per sua natura, è contro l’uomo perché, […] distruggendo il processo di identità etnica, provoca il declino della morale […] e va incontro alla disgregazione, sviluppa comportamenti patologici dell’omosessualità, della devianza giovanile, della droga, crea condizioni psicologiche che favoriscono ad esempio la sterilità per cui non nascono più figli»”.

Niente male, eh? E ancora: «Dietro l’immigrazione di colore non c’è solo l’interesse di una sinistra allo sbando che cerca un nuovo sottoproletariato che le dia i voti, non c’è solo la Chiesa cattolica rinchiusasi nei palazzi dell’avere che ha perso ogni credibilità. […] C’è l’interesse del Grande capitale che, attraverso l’immigrazione del Terzo mondo, scarica sui cittadini i costi del proprio sviluppo».

“Bossi – analizza Gatti – non si limita ad agitare ambiguamente lo spauracchio del Grande capitale. Offre una lettura che come vedremo verrà ripresa successivamente dal suo erede: «Il Grande capitale ha un interesse strategico legato all’immigrazione del Terzo mondo. Esso sa infatti che nella società multirazziale si innescano tensioni tali che possono incidere profondamente nella coscienza dei cittadini. […] Ciò non è tanto finalizzato a rendere autoritari gli Stati nazionali, quanto a rendere possibile il progetto costituente di uno Stato europeo centralista […] che la massoneria si illude di poter realizzare». Ecco il sempreverde dei teorici del complotto di stampo reazionario-fascio-nazista: la lotta alle trame occulte dei massoni”.

E già nel 1998 si certificano le prime saldature proprio con Forza Nuova.
“Bossi – viene raccontato sempre nel libro – apre un altro fronte interno sposando una battaglia che da anni sta a cuore ai postnazisti: quella contro l’immigrazione. Il 6 marzo 1998 è stata approvata la legge che disciplina la materia dell’immigrazione dall’estero, la cosiddetta Turco-Napolitano, dai nomi dell’allora ministro per la Solidarietà sociale Livia Turco e dell’allora ministro dell’Interno Giorgio Napolitano. La Lega avvia una raccolta di firme per un referendum abrogativo. Partner nell’iniziativa è Forza nuova, il gruppo neofascista di Marco Carucci, amico di liceo di Matteo Salvini, che scopro essere in quel periodo anche amico di Gianluca Savoini. Seppur di natura tattica, è la prima alleanza tra la Lega e un’organizzazione della destra radicale”.

Forza Nuova ricambia con una nota al miele verso la Lega: “È sintomatico che i Comitati per il referendum raccolgano una serie di forze politiche […] che, anche se apparentemente composite ed eterogenee, hanno in comune una matrice popolare e tradizionale. Non è un caso che la componente trainante della campagna referendaria sia la Lega Nord che fino a qualche tempo fa ha rappresentato un’«energia politica» imprevedibile e incontrollabile (probabilmente per le sue radici ideologiche pressoché inesistenti) ma che ora ha cominciato a prendere posizioni chiare per quanto riguarda i problemi che minacciano sia il Popolo padano che tutti i popoli e le etnie del mondo: mondialismo, immigrazione, globalizzazione, dominio della grande finanza internazionale”.

Non a caso il 13 marzo 1999 Forza Nuova organizza il dibattito Immigrazione e sopravvivenza del nostro popolo presso la sala consiliare della Zona II di Milano. L’elenco dei partecipanti, reso pubblico da un comunicato, merita di essere riportato:
Il Dott. Sergio Gozzoli (direzione Forza nuova), il Dott. Gianluca Savoini («la Padania»), l’On. Mario Borghezio (Lega Nord), Samuel Maréchal (Front National – Francia), Maurizio Blondet, giornalista dell’«Avvenire», l’avvocato Andrea Mascetti della Lega Nord.

Il resto è storia recente, con il ‘soldato’ Savoini chiamato a fare da trait d’union tra la nuova Lega e la Russia di Putin e ad annaffiare quell’etnocentrismo seminato diversi lustri prima dai personaggi narrati e germogliato felicemente nell’interregno di Salvini, che non a caso flirta con tutti i premier più autoritari e tendenzialmente illiberali del mondo Occidentale.
Se la recente visita di Giorgia Meloni al congresso dei nostalgici del franchismo di Vox in Spagna fa discutere, o se il palco condiviso da Salvini con CasaPound e le simpatie per Orban (fiero oppositore del complotto giudaico-massonico incarnato dall’ebreo Soros) fanno interrogare, è perché non si vuole comprendere la comune matrice ideologica con un’ultradestra europea che, seppure fiaccata un po’ dalla pandemia, resta comunque affascinante per le destre sovraniste nostrane.

Un illuminante passaggio del libro di Gatti fornisce una nitida fotografia: “Certamente – si legge – c’è la contiguità cultural-ideologica, risultato della contaminazione postnazista.
A illustrarla in dettaglio è il principale «contaminatore», Gianluca Savoini, il 24 novembre 2018, quando viene invitato ad arringare trecento membri del partito d’estrema destra tedesco AdF ad Augustdorf, nella Renania del Nord. Parlando in italiano con un traduttore al suo fianco, il giornalista apre l’intervento portando «i saluti affettuosi del segretario del partito della Lega e ministro dell’Interno Matteo Salvini»”.