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Il fascino della legge
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Il fascino della legge

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BRINDISI – E’ opinione diffusa quella di considerare la Corte Costituzionale come una sorta di organo politico chiamato a decidere quali leggi siano giuste e quali sbagliate. La Sentenza sul Lodo Alfano del 2008, ad esempio, voleva sospendere i processi a carico delle 4 più alte cariche dello Stato e per questo fu letta, dai più, come una censura etica e morale nei confronti delle scelte antidemocratiche di Berlusconi. Ma in realtà la Corte bocciò quel Lodo per tutt’altra ragione. La bocciatura, infatti, non era per lo scudo offerto a quelle 4 cariche, di per sé legittimo, ma per il fatto che esse non avevano il diritto Costituzionale di ricevere tale protezione, mentre tutte le altre immunità per tali ruoli erano già previsti dalla Costituzione. Nessuna morale, nessun principio etico. Quello della Corte fu solo un freddo e razionale giudizio sul contrasto di norme tra fonti di rango diverso, dove quello Costituzionale prevale su tutti gli altri.

La Corte giudica le leggi, osserva se non vi siano norme o princìpi costituzionali che contrastino con la norma giudicata. Ora, fermo restando che le motivazioni della Corte su rigetti e accoglimenti dei quesiti referendari non sono ancora state depositate, possiamo approfittare delle indicazioni raccolte dall’inusuale quanto probabilmente infelice intervista al Presidente della Consulta, Giuliano Amato, che ha superato con tali dichiarazioni il principio secondo cui qualsiasi Corte parla con le Sentenze. E in un’Italia dove la giustizia è sempre più spettacolarizzata, sarebbe meglio evitare di togliere valore al deposito delle motivazioni di una Sentenza per sostituirla con il “one man show”.

Innanzitutto, farei chiarezza intorno al concetto di “omicidio del consenziente” e di “eutanasia”. Si ha omicidio del consenziente quando si uccide una persona che intende essere uccisa. A tal proposito in Germania ci fu un caso che fece scuola: un cannibale lasciò un annuncio su internet: “cerco persone disposte a farsi uccidere e mangiare”. Una persona rispose all’annuncio, si presentò dal cannibale, si fece anestetizzare, uccidere e poi mangiare. La Corte italiana sostiene che il quesito referendario puntava proprio a una depenalizzazione di casi come quello del cannibale. L’eutanasia invece è tutt’altra cosa: si tratta di cagionare la morte di una persona in condizione di sofferenza per una patologia irreversibile e con prognosi infausta, tale da incidere sulla dignità e fruibilità della sua vita: parliamo di situazione come quella di Dj Fabo e di Eluana Englaro. C’è un abisso tra questi casi e quello del cannibale. Ma quindi, il giudizio della Corte, è stato politico? Tenendo conto che la stessa Corte, nel caso di Cappato, imputato per “omicidio del consenziente” nel processo per la morte di Dj Fabo, aveva già ritenuto fondate le osservazioni di Cappato stesso, è ragionevole pensare che la Corte non abbia preclusioni politiche, ma giuridiche. Ricordiamo cosa disse la PM Siciliano che portò a processo Cappato: “è una giornata storica […] perché la Corte realizza pienamente l’art. 2 della Costituzione che mette l’uomo al centro della vita sociale e non anche lo Stato. Ora è compito del legislatore colmare le lacune che ancora ci sono”. E’ il legislatore che ha lasciato cadere l’invito della Corte, e a mio parere i comitati referendari non ne hanno pienamente recepito le indicazioni proponendo un quesito che non ricalcava le indicazioni ricevute. E’ una sconfitta? No, più di un milione di firme certificano che la pressione dei cittadini sul legislatore è ad alti livelli, e questo è un avvicinamento all’obiettivo. Ma attenzione a caricare la Sentenza della Corte di un qualsivoglia valore politico, perché così facendo si rischia di far perdere di vista la strada giusta per raggiungere il risultato: superare il conflitto fra una norma ordinaria e la Costituzione. Non è questione di maggioranze, ideali, progresso culturale, è un fatto di tecnica giuridica.

Francesco Caroli