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Un anno da dimenticare
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Un anno da dimenticare

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Una guerra. Basta questo per designare l’anno che sta per finire come uno dei peggiori degli ultimi cinquant’anni? In realtà, come sottolinea spesso Papa Francesco, di guerre in giro per il mondo ce ne sono tante. Quelle che lui chiama “la terza guerra mondiale a pezzi”. No, questa guerra rende horribilis l’anno 2022 perché avviene in Europa: ai confini dell’Unione europea, tra la Russia di Putin e l’Ucraina di Zelensky, non a caso incoronato “persona dell’anno” da Time. Una guerra che non accenna a finire, che vede la diplomazia mondiale – per non parlare dell’ONU che autocertifica la sua inutilità – del tutto assente dalla scena. Come se si volesse farla andare avanti, questa guerra che si vuole simbolica della dittatura contro la democrazia. Come se fossimo ancora nel mood della seconda guerra mondiale.

Il quadro dell’anno uscente potrebbe anche finire qui, con l’amara consapevolezza che il 2023 inizia peggio, con una prospettiva di guerra lunga, di logoramento, che si porta dietro rischi di recessione mondiale – europea soprattutto – e di escalation nucleare, rilanciata da Putin un giorno sì e l’altro pure. Ma il giudizio negativo per il 2022 si deve anche al ritorno di una calamità che non si vedeva dagli anni Ottanta del secolo scorso: l’inflazione a doppia cifra. Che unita all’aumento vertiginoso delle materie prime e soprattutto delle fonti di energia, gas in testa, significa una mazzata di inaudite proporzioni per le economie occidentali che stavano per rialzarsi dopo il fermo della pandemia.

Questi i due fatti principali del 2022: guerra e inflazione.

Poi ci sono stati altri eventi negativi, sintomatici di tendenze pericolose e di un futuro nient’affatto piacevole. Innanzitutto la rivoluzione strisciante in Iran, con le donne protagoniste di una impari lotta con gli ayatollah per la libertà, contro il velo islamico, in controtendenza con le manifestazioni che in Occidente sostengono il “diritto al velo” delle donne musulmane come affermazione di libertà. Quasi uno sfregio allo slogan che le donne iraniane scandiscono tutti i giorni, nonostante la feroce repressione del regime: “Donna, Vita, Libertà”. La repressione nel sangue dei diritti della donna fa il paio con quanto succede per esempio in Afghanistan, dove le donne non hanno più diritti, ultimo dei quali andare all’università e ai luna park.

Infine, a dimostrazione del fatto che i diritti non sono acquisiti per sempre, la progressiva cancellazione del diritto all’aborto in alcuni Stati americani a guida repubblicana. È la destra estrema che avanza nel mondo occidentale, e prova ovunque a dimostrare che si può rimettere indietro l’orologio della storia.

Questa terribile consapevolezza è un’altra eredità che ci lascia il 2022.

Cosa ci dobbiamo attendere dal 2023?

Molto dipende da quanto la guerra in Ucraina durerà ancora, e se a questo scenario devastante per l’Europa si aggiungerà o meno la riconquista dell’isola di Taiwan da parte della Cina. Se questi due fuochi si spegneranno rapidamente, si potrà perfino sperare in una ripresa economica generale e in una ripresa della politica e della diplomazia per governare le crisi future.

Detto questo, quali sono le tendenze del 2022 che ipotecano il futuro mondiale, come si può leggere in precedenti articoli nel blog di SpazioMilano?

Il ritorno degli Imperi (USA, Russia, Cina e Turchia) e lo stallo/crisi definitiva della UE (ci mancava solo il Qatargate…). I carri armati russi in Ucraina e la diplomazia effervescente della Turchia, unico interlocutore di entrambe le parti in causa, sono segnali del risveglio di vocazioni imperiali.

La fine della globalizzazione o il suo ridimensionamento (e il re-shoring o meglio il friend-shoring, dopo la guerra in Ucraina): meglio l’autonomia energetica, produrre mascherine in ogni Paese, e produrre armi e semiconduttori “in casa” o in Paesi amici, che dipendere da Paesi dittatoriali e pronti magari un domani a farci la guerra.

Lo sdoganamento della destra estrema e l’affievolimento dei diritti. Una destra non necessariamente neofascista o neonazista, ma reazionaria, pronta cioè non solo a conservare l’esistente, ma a restaurare un’epoca in cui tanti diritti non erano acquisiti (es. aborto, parità di genere, diritti dei lavoratori, e così via)

Insomma, un 2023 che si apre su scenari inediti, forse inimmaginabili solo un anno fa, e che richiedono maggiore consapevolezza da parte delle classi politiche e dei popoli che le eleggono.

Francesco Caroli