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Conte resta il punto di riferimento dei progressisti. Il centrodestra ha un rigore a porta vuota
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Conte resta il punto di riferimento dei progressisti. Il centrodestra ha un rigore a porta vuota

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BRINDISI – Carlo Cottarelli (figura di altissima caratura, al di sopra di ogni sospetto) nel maggio scorso sosteneva che, dato l’andazzo indisciplinato dei partiti, oramai mentalizzati sulla campagna elettorale, sarebbe stato meglio andare a votare. Spiegava che: non aveva granché senso approvare una riforma del catasto, della concorrenza e delle pensioni annacquate; non è un dramma non approvare la Legge di Bilancio e andare in esercizio provvisorio, anche perché Portogallo e Germania in passato hanno votato in autunno; il piano per il Pnrr può essere modificato – nelle sue scadenze – per condizioni oggettive, e le elezioni lo sono (la Francia, che pure ha da gestire il Pnrr, è andata al voto quest’anno), e comunque gli stessi problemi si ripresenterebbero nella primavera prossima.

Se non si è andati a votare prima è perché i parlamentari al primo mandato dovevano aspettare il 24 settembre 2022 per maturare – dopo 4 anni, 6 mesi e un giorno – la loro pensione. E siccome si rimane in carica fino alla prima seduta parlamentare del successivo governo, non si poteva andare al voto prima di quella deadline…

Di certo non c’è da scandalizzarsi se due partiti in crollo verticale come Lega e M5S decidono di staccare la spina onde evitare di evaporare in attesa della primavera del 2023. Soprattutto il centrodestra aveva da tirare un calcio di rigore a porta vuota concessogli da Conte. Stando ai sondaggi, infatti, il centrodestra potrebbe non solo superare il 40% di preferenze, ma anche avere una maggioranza in Parlamento dato che molto probabilmente farà incetta nei collegi uninominali. Tra l’altro, come mai avrebbero potuto accettare – senza rilanciare – i 9 punti programmatici di Conte (salario minimo, espunzione dei contratti pirata, difesa a oltranza del rdc e del superbonus, decreto dignità e lotta al precariato, taglio del cuneo fiscale e maggiori aiuti alle famiglie, contrasto agli inceneritori e alle infrastrutture del gas, allargamento delle maglie sulle riscossioni), che – seppure coincidenti con i voleri della Lega in uno-due punti – oggettivamente mirano a un progressismo ambientale e (a una protezione) sociale esasperati. Peccato solo che Conte resti ambiguo, invece, sulla terza gamba del progressismo, ovvero i diritti civili (ricordate Conte come sgusciava via, ad esempio, quando c’era da affrontare il Ddl Zan? O quando votò i decreti sicurezza?).

Conte, ad ogni modo, resta il punto di riferimento fortissimo dei progressisti, perché nella sinistra italiana fatta di ex comunisti come Bersani, Fratoianni, Orlando e Provenzano (Pd), il modello è più quello di Melenchon che non quello di Macron. Quindi un’alleanza con Renzi e Calenda, checché ne dica Letta che a volte sembra vivere sulla luna, non è neppure immaginabile.

Votare non sarà la soluzione migliore, ma è quella giusta dopo un accanimento terapeutico indegno che va avanti dal 2018. Era il momento di chiuderla qui, nonostante la consapevolezza che quello che verrà dopo, probabilmente non sarà meglio. Ma funziona così se vogliamo praticare la democrazia. Il problema, semmai, è che senza conoscenza non ci può essere democrazia, ed un Paese tra i più ignoranti d’Europa come il nostro fa fatica a mantenere il passo della crescente complessità tipica delle democrazie moderne.