Home Editoriale Una recinzione, una città. Da cui scappare
Una recinzione, una città. Da cui scappare

Una recinzione, una città. Da cui scappare

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BRINDISI – La perfetta sintesi di come funziona male Brindisi.

Una normativa internazionale antiterrorismo entrata in vigore nel 2004 impone di realizzare una recinzione in via del Mare al fine di poter ospitare le navi nel seno di Levante. Niente recinzione, niente navi.

In conferenza di servizi la Soprintendenza boccia la proposta dell’Autorità portuale di realizzare in plexiglass la recinzione perché altrimenti sarebbe stata scarabocchiata con graffiti. Il Comune accetta. Via al progetto definitivo, via ai lavori. Nel frattempo cambia l’amministrazione comunale e pretende che i lavori vengano fermati e il progetto modificato, perché il materiale utilizzato (il corten) non piace più e si intima all’ente portuale di tornare alla recinzione in vetro bocciata dalla Soprintendenza. Cade l’amministrazione Carluccio e la gestione commissariale trova un accordo con l’ente portuale per una modifica progettuale: resta il corten ma vengono realizzate delle finestrelle. Nel frattempo interviene la magistratura, che dalla recinzione di via del Mare allarga il filone delle indagini ad altre opere portuali. I sequestri fanno saltare altri progetti (vedi quello del Dock Bi che prevedeva la realizzazione di una tensostruttura che avrebbe consentito un’accoglienza civile dei passeggeri in transito verso l’Albania). Si innescano veleni e diffidenze che limitano le potenzialità del porto, creando contrasti tra enti che hanno condizionato lo sviluppo del porto negli ultimi anni. Si ricorderà il sindaco Rossi che preconizzava sequestri, finanche del pontile a briccole. Troppo spesso, nell’ultimo quinquennio, le frasi di alcuni politici hanno ricalcato sinistramente le tesi della Procura, dando vita a un appiattimento disfunzionale.

Ebbene, il giudice Saso, dopo 6 anni, ha completamente smontato l’impianto accusatorio della Procura. La beffa è che quella recinzione, oggi, nega la visibilità proprio nei punti dove è stato utilizzato il vetro voluto dal Comune, anche perché – come previsto dalla Soprintendenza – è stato scarabocchiato con le bombolette. Mentre la parte in corten consente un’ottima visuale. Pensate se l’avesse spuntata l’amministrazione Carluccio nella sua richiesta di realizzare la recinzione tutta in plexiglass o vetro: adesso sarebbe ridotta come il ponte di via del Mare; completamente scarabocchiata.

Come ha rilevato il giudice Saso, “l’amministrazione comunale sembrava aver dimenticato che la recinzione di security non è un orpello estetico ma un’opera essenziale e irrinunciabile”.

Ma com’è nata questa vicenda? Il gup, nella motivazione della sentenza di assoluzione di Patroni Griffi, Danzì, ecc, sostiene che “il p.m. matura la propria convinzione della colpevolezza della Danzì anche dopo l’interrogatorio di Nicola Zizzi, capo di gabinetto della sindaca Carluccio e tra i principali artefici dello scontro con i vertici dell’Autorità portuale”. Perché? Secondo il giudice “le dichiarazioni di Zizzi esprimono chiaramente l’astio dello stesso nei confronti di tutti coloro che ne avevano limitato il potere”.

Quella recinzione che avrebbe dovuto ospitare il progetto Light Tales, ovvero un racconto luminoso di Brindisi lungo 300 metri, adesso è ridotta a uno scarabocchio perché a Brindisi ogni occasione diventa propizia per guerre senza quartiere, in un interminabile gioco a perdere. Un gioco che non consente alla città di avere ancora un terminal passeggeri degno di un porto così importante, perché anche qui veti incrociati si intersecano con indagini e processi interminabili, nonostante più volte siano già intervenuti respingimenti di ogni impianto accusatorio sulla vicenda, con frasi del magistrato Fracassi rivolte al p.m. (“aggettivazioni alquanto eccentriche”, le ha definite il gip) che ricordano quelle recenti del gup Saso. La sostanza è che adesso Brindisi rischia di perdere il finanziamento per il terminal Le Vele.

A Brindisi la separazione delle carriere non appare di certo una priorità, data la spiccata assertività dei giudici, che spesso refutano le argomentazioni dell’accusa (vedi anche il respingimento della richiesta di arresti domiciliari per Patroni Griffi da parte del gip De Angelis, per fortuna!), non lesinando giudizi tranchant.

È il caso, per l’appunto, del processo sulle opere portuali, che ha visto il gup Saso esibirsi in passaggi fortemente critici e in un certo senso preoccupanti. Lo stesso, infatti, ha affermato che “sono state scelte persone da non imputare per fatti addebitati ad altri”. E ancora: che “si è costruita un’accusa portando avanti in modo ossessivo una tesi giuridica sconfessata dai giudici amministrativi, perfino alterando la struttura di alcune imputazioni”. Addirittura il giudice sostiene che “il riferimento alla data del collaudo come tempus commissi delicti appare solo un artifizio per sottoporre Patroni Griffi ad un procedimento penale per reati urbanistici ed edilizi sicuramente insussistenti e comunque da lui non commessi in quanto riferibili a lavori completati prima del suo insediamento”. A quale fine? “Al solo fine di discreditarlo dinanzi alla pubblica opinione”, afferma il giudice. Boom!

In un climax al massacro, per il p.m., udite udite, l’Autorità portuale ha finanche lavorato per “far mutare la consolidata giurisprudenza amministrativa e la normativa in vigore”. Un teorema che ha fatto sobbalzare il giudice, che ha parlato di “asserzioni gravissime perché si prospetta un’azione inquinante nei confronti dei giudici amministrativi e del legislatore a livello politico”.

Una vicenda, insomma, che ci interroga anche sull’applicazione delle misure cautelari e sul reato di abuso d’ufficio, che rischia troppo facilmente di rovinare la vita di civil servant e di condizionare la vita e lo sviluppo delle comunità. Perché appare sin troppo facile, a volte, piegare il diritto alle proprie visioni di mondo, alimentando corto circuiti che fanno pensare che sia più urgente rafforzare la separazione tra politica e magistratura che quella all’interno della magistratura stessa. Così da evitare, per esempio, che qualcuno si metta in testa di poter perseguire una insana idea di modello economico alternativo, perché magari si pensa – da ignoranti – che il turismo sia in contrasto con la realizzazione di faraoniche opere portuali (cit.).