Home Editoriale Il Sindaco ricercatore Enea può essere il traghettatore della nuova capitale dell’idrogeno
Il Sindaco ricercatore Enea può essere il traghettatore della nuova capitale dell’idrogeno
0

Il Sindaco ricercatore Enea può essere il traghettatore della nuova capitale dell’idrogeno

0

BRINDISI – Si parla tanto, prosaicamente, di Brindisi come nuova capitale del gas per via della riconversione delle centrali a carbone e dell’approdo del gasdotto Tap, ma pochi stanno cogliendo il protagonismo del quale potrà rivestirsi Brindisi in questa nuova era della transizione energetica. Proprio l’approdo del gasdotto consentirà a Brindisi, con i fondi messi a disposizione del territorio da Tap-Snam, di insediare alla Cittadella della ricerca un centro di ricerca per la decarbonizzazione. Ovvero il tassello necessario, la testa di ponte per favorire la candidatura di Brindisi a nuova capitale dell’idrogeno, che segnerà la scena dei prossimi 30 anni. Per governare la transizione c’è bisogno di adeguato capitale umano ed ecco perché è fondamentale che Brindisi punti forte su ricerca e conoscenza. Almeno in questo, avere come Sindaco un ingegnere che faceva il ricercatore Enea dovrebbe rappresentare un vantaggio. Ed un vantaggio Brindisi lo potrà acquisire anche grazie alla contingente presenza sul territorio delle società pioniere in Italia rispetto alla ricerca ai fini dell’utilizzo del nuovo oro, ovvero l’idrogeno. Enel, Eni, A2A e Snam, infatti, sono attivissime su questo fronte e Brindisi ha – in questo caso – la fortuna di poter disporre di un canale di interlocuzione privilegiato, se si è capaci.

Quella decarbonizzazione che incuteva terrore, insomma, se governata e non subita potrebbe creare condizioni meno regressive di quanto veniva immaginato fino a pochi mesi fa a queste latitudini, anche grazie all’inesplorato mondo delle zone franche doganali  sulle quali enti locali ed Enel Logistics paiono puntare forte.

Certo, in astratto le misure varate dall’Europa e dal Governo per decarbonizzare il Paese potrebbero risultare oggettivamente regressive. Ridurre le emissioni di CO2 e migliorare la qualità dell’aria, infatti, come scrive Giorgio Ragazzi su “Il Fatto Quotidiano” di oggi, “è ottima cosa ma non contribuirà all’incremento né della produttività né del PIL. Può avere anzi effetti depressivi sulla crescita perché incentivi e vincoli, alterando le scelte di mercato, aumentano i costi, in primis quelli dell’energia e dei trasporti”.

Su questo, su come verranno spesi i soldi del Recovery Fund, è necessario allora una ulteriore riflessione; bene fa Renzi a chiedere maggiore confronto. Due esempi.

I 40 miliardi fagocitati dai previsti interventi in materia di efficientamento energetico degli edifici, come scrive Ragazzi, possono rappresentare una buona misura se l’obiettivo è sostenere la domanda in tempi brevi, ma terminata la spesa non si vede come il miglioramento degli edifici possa elevare la potenzialità di crescita dell’economia.

Stesso discorso vale per la nuova Alta velocità al Sud, che farà risparmiare tempo a una stretta cerchia di “benestanti” ma contribuirà poco ad accrescere il Pil e la produttività, anche perché le linee saranno sottoutilizzate, creando una insostenibile preminenza dei costi sui vantaggi. Ciò è stato sottolineato allo sfinimento dal prof. Ponti, consulente assoldato e scaricato dagli ultimi tre governi.

Se sottoposto ad un’attenta analisi costi/benefici, è molto probabile che questo Piano nazionale per la ripresa e la resilienza risulterebbe gravemente insufficiente e insoddisfacente. Con la consegna del Piano prevista tra due mesi, con un Governo fermo in mezzo al guado, a corto di idee, schiavo della caccia al consenso e lontano da un impellente approccio riformista, il rischio che si perda anche l’ultimo treno risulta altissimo.