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Brindisi più ricca delle città turistiche: quel modello alternativo che non funziona, se non in via residuale
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Brindisi più ricca delle città turistiche: quel modello alternativo che non funziona, se non in via residuale

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BRINDISI – Come sarebbe bello essere ancora più poveri…
Avere ad esempio – stando ai dati pre-pandemia disponibili sul Sole 24 Ore – una cittadinanza con un reddito pro-capite di 12.233 euro come Vieste, che registra oltre 1,9 mln di presenze turistiche annue. Oppure di 13.106 euro come Carovigno, che fa 550.000 presenze. O come Fasano (14.230 euro pro-capite e 671.000 presenze turistiche). E ancora, come Monopoli (15.800 euro), Otranto (14.451 euro), Ostuni (16.291 euro), Gallipoli (15.999 euro).
Tutte città turistiche i cui abitanti vivono in condizioni economiche nettamente inferiori alla media nazionale (il reddito pro-capite medio italiano si attesta a 20.079 euro).
A Brindisi, invece, nonostante un numero di presenze turistiche pari a 186.900, il reddito pro-capite è di 18.543 euro (ovvero 4-5.000 euro in più a cittadino rispetto a Fasano o Carovigno, le mete più gettonate del brindisino, e circa 6.000 euro a testa in più rispetto a Vieste, regina indiscussa del turismo pugliese che fa 10 volte le presenze turistiche di Brindisi).
Ma come? Il turismo non era il nostro petrolio?
Evidentemente no: certamente è un settore di complemento che può supportare l’economia locale, ma non può divenire un segmento trainante per ottenere condizioni economiche migliori.
Il grafico qui in basso, d’altronde, è eloquente: in Puglia i poli industriali e commerciali presentano i colori più intensi, simbolo di una ricchezza pro-capite superiore. Il resto arranca, registrando numeri allarmanti, ai limiti della povertà diffusa.
Perché avviene questo? Perché il turismo è un settore che sconta condizioni particolari, con contratti di lavoro perlopiù a tempo determinato (quando non a nero), con una produzione di valore aggiunto che è 1/3 di quella del settore industriale e di conseguenza con salari più bassi perché la torta da distribuire è più piccola, ma anche con un numero di investimenti annui che è pari a 1/4 rispetto a quelli effettuati nel settore industriale (2.000 euro per addetto contro 8.000 euro).
Più che pensare a come smantellare il settore industriale per fare posto a economie suggestive ma residuali, dunque, bisognerebbe impiegare le energie per concepire e dare corpo a una reindustrializzazione, più sostenibile, che spenga ogni velleità di decrescita felice.
A Brindisi attualmente ci sono le condizioni perché diversi settori economici possano crescere armoniosamente. Se la litoranea nord brindisina non è sviluppata come quella di Gallipoli, se la città non ha saputo costruire una propria identità, non ha saputo valorizzare i propri beni monumentali e paesaggistici, non ha saputo organizzare iniziative e manifestazioni di richiamo, non è certo per colpa dell’industria. Semmai di una classe politica che, adagiata su una cittadinanza inconsapevole, ha sbagliato sistematicamente rotta: per dolo o per colpa poco importa quando i danni procurati sono comunque ingenti.